Recensione spettacolo teatrale
06-06-06 a cura di
G.R.
RE LEAR
di Lev Dodin
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Grande
attesa per questo Re Lear del regista russo Lev Dodin (1), nato in
Siberia nel 1944, direttore artistico del Maly Drama Teatr (2)
di San Pietroburgo, forse uno dei più grandi registi di
teatro contemporanei. Grazie ad un gemellaggio con il Piccolo Teatro
(3) i suoi spettacoli approdano regolarmente a Milano. Maly Teatr,
peraltro, vuol proprio dire “Piccolo Teatro”.
Due sono le
principali caratteristiche del lavoro di Dodin: l’incredibile
fisicità della recitazione e la straordinaria invenzione
visiva delle scenografie.
Gli attori del Maly possiedono una notevole cultura del corpo,
arrivando ad azioni mirabolanti come suonare dei pianoforti con i
piedi, nello spettacolo
Gaudeamus (4) [foto sx]. I pianoforti volanti, sempre
in Gaudeamus, o il palazzo con palafitte su una grande
piscina in Platonov (5) [foto al centro], sono
esempi delle scenografie che utilizzava Dodin. Questa seconda
caratteristica manca però
negli ultimi lavori, che da
questo punto di vista sono decisamente sobri, autentici esempi di
teatro povero. Questo ha fatto sì che i suoi ultimi
spettacoli non siano stati molto
apprezzati dalla critica. Per lo Zio
Vanya (6) [foto dx], andato in scena nel 2003 ci fu chi
parlò
di semplice illustrazione del testo. Si trattava evidentemente
di
un’opinione dovuta ad una visione distratta dello spettacolo;
al contrario Dodin aveva fatto un lavoro molto sottile sul testo: era
bastata una piccolissima modifica dello stesso (semplicemente un
personaggio che entra in scena poco prima di quanto previsto) per
ribaltare la parte finale dell’opera.
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La
gestazione dello spettacolo di questo Re Lear è durata 3
anni, ma questo
è
normale nel lavoro del Maly. Le prove durano sempre anni, hanno una
concezione del teatro come di un qualcosa sempre in divenire, che solo
al momento dello spettacolo deve essere forzatamente fissato,
cristallizzato.
Inizialmente
hanno lavorato utilizzando il testo tradotto in russo da Boris
Pasternak (7). Le traduzioni di Pasternak delle opere di Shakesperare
furono utilizzate anche dal regista (di cinema) russo Grigori
Kozintsev (8) per due film straordinari: Gamlet (9) (1963) e, appunto,
King Lear (10) (1969). Questi due adattamenti shakespiriani sono
noti
per il loro estremo “naturalismo”, per il fatto di
non risultare
appesantiti dai complessi e lunghi monologhi frequenti nelle opere del
Bardo. Ma Dodin preferisce abbandonare queste traduzioni, trovandole
filtrate dalla poetica di Pasternak. Decide quindi di affidare ad una
nipote filologa il compito di fare una traduzione letterale del testo,
in prosa non in versi eccetto alcuni brani ma comunque mai in rima.
Dodin opera comunque una sforbiciata al testo, in maniera da non
alterare però il plot narrativo. Questo è
motivato dalla necessità di
rispettare lo spirito dell’opera in un contesto diverso a
quello per
cui era stata concepita. Ai tempi del Globe Theater, infatti, gli
spettatori uscivano ed entravano dal teatro a loro piacimento, non
c’erano intervalli, e i testi del Bardo sono volutamente
ridondanti per
ricordare alcune situazioni. Si è trattatato quindi di
cambiare la
lettera dell’opera rispettandone lo spirito.
Esempio
di teatro povero quindi. La scenografia è costituita da
semplici assi
di legno e gli attori sono vestiti con anonimi abiti di tela bianchi.
Sarebbe stato impossibile, oltre che inutile, ricostruire un ambiente
filologicamente corretto: non esiste una documentazione relativa all’epoca del Re Lear storico, la Britannia
dell’VIII secolo
a.c.
Dodin
cerca poi di rompere la barriera tra palcoscenico e pubblico: per buona
parte della rappresentazione le luci rimangono accese e sono
frequentissime le incursioni in sala degli attori.
Una
geniale invenzione scenica è quella che vede il personaggio
del Matto
sempre in scena a suonare una pianola, accompagnando così la
rappresentazione.
Il
sottile lavoro di regia è consistito nel dare poco rilievo
alle scene
d’azione, trasformando così l’opera in
un dramma intimista, privato, in
una tragedia esistenziale. Le figlie non sono malvagie come in tutti
gli altri adattamenti del Re Lear, sono semplicemente coinvolte in un
conflitto generazionale: i giovani sentono la loro giovinezza usurpata
dai vecchi, i quali a loro volta odiano i giovani perché ne
sono
invidiosi. Re Lear è un anziano di 70 anni, attraverso la
sofferenza
della vicenda in cui si trova scopre grandi verità
sull’umanità. La
tragedia è inevitabile, non per la malvagità dei
personaggi quindi, ma
per un fatto immanente all’essere umano. E come le
più grandi tragedie,
avviene tra le mura domestiche.
Mai
visto un’opera di Shakespeare con i personaggi che portano su
di se
questa colpa tragica dell’essere giovane o
dell’essere vecchio. A
quando un Amleto?
Giampiero
Raganelli
Per approfondimenti:
1 http://www.changeperformingarts.it/Dodin/dodin.html
2 http://www.mdt-dodin.ru/english/spect/index.htm
3 http://www.piccoloteatro.org/
4 http://www.changeperformingarts.it/Dodin/gaudeamus.html
5 http://www.changeperformingarts.it/Dodin/play.html
6 http://www.changeperformingarts.it/Dodin/uncle.html
7 http://it.wikipedia.org/wiki/Boris_Pasternak
8 http://www.imdb.com/name/nm0468882/
9 http://www.imdb.com/title/tt0058126/
10 http://www.imdb.com/title/tt0064553/
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Immagini gentilmente catturate da:
immagine di Lev Dodin: sito www.teatro.org
immagine spettacolo "Gaudeamus": sito (1)
locandina spettacolo teatrale Re lear e immagini
degli altri due spettacoli teatrali
("Platonov", "Zio Vania") : sito del Maly Teatr (2)
immagini spettacolo Re lear: sito del Piccolo (3)
e libretto di sala dello spettacolo a cura del Piccolo
I diritti d'autore delle immagini si intendono riservati
ai rispettivi proprietari.
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